A cura di Corrado Fontana, giornalista di Valori.it
«Se vogliamo salvarci non solo dobbiamo produrre in maniera più sostenibile, utilizzando meno energia e meno acqua, ma soprattutto dobbiamo produrre di meno e produrre prodotti di senso. È questo l’antidoto alla bulimia, all’invasione di prodotti senza valore, senza utilizzo e senza identità provenienti da mercati emergenti dove non rispetta alcun tipo di regola». Anche per queste parole pronunciate da Emilio Salvatore Leo, giovane guida dell’impresa di famiglia nata nel 1873, ci troviamo oggi a scrivere di Lanificio Leo. Azienda scaturita dall’intuizione del nonno in un territorio un tempo “invaso” dalle pecore merinos, oggi il lanificio è portatore di un’idea d’imprenditorialità consapevole e globalmente responsabile, rimanendo profondamente radicato sul territorio.
Impresa di famiglia nata nel 1873, il Lanificio Leo è portatore di un’idea d’imprenditorialità consapevole e globalmente responsabile
Lanificio Leo occupa una decina scarsa di lavoratori (incluso Emilio, titolare e direttore creativo) e opera a Soveria Mannelli (Cz), in una sorta di distretto segnato da un’anomala vitalità “brianzola” per la concentrazione di società di rilievo in una regione economicamente fragile. E dopo alcuni anni in cui il sito è stato animato più dal festival Dinamismi Museali che dal rumore dei macchinari, è maturato un modello di impresa ora quanto mai contemporaneo. «I 10 anni del festival, che è stato una sorta di interregno in cui di fatto la fabbrica in senso stretto non esisteva più come produzione legata al territorio, anche se non è mai stata chiusa dal punto di vista imprenditoriale, ci hanno insegnato molte cose – racconta Leo –. Ci hanno insegnato a costruire un network internazionale, a portare artisti e designer da diverse parti d’Europa, a connettere Soveria Mannelli con Milano, dove in Italia la creatività e il design sono la porta verso il mondo».
Dopo gli sconvolgimenti del 2008, anno in cui molto è cambiato nell’economia e nella finanza globale, l’azienda è ripartita a tutti gli effetti inizialmente con un finanziamento di Invitalia, e poi consolidando una relazione con Banca Etica «fondata sulla condivisione dei valori di radicamento territoriale e di generazione di benessere per la sua comunità », sottolinea Giuseppe Sottile – responsabile commerciale dell’area Sud della banca –. Una relazione culminata con la partecipazione al bando Innovare in rete. «È stata ovviamente un’opportunità per poter accedere, in un momento particolare dell’azienda, ad un mutuo che altri tipi di istituto bancario probabilmente non avrebbero erogato – prosegue Leo –. Banca Etica riesce infatti a leggere anche oltre il mero bilancio e il rapporto tra fatturato e business plan. E Innovare in rete è stato interessante anche per una serie di strumenti di accompagnamento di tipo consulenziale, che nell’anno del Covid-19 abbiamo usato per cominciare questa accelerazione della vendita online».
Dopo gli sconvolgimenti del 2008 l’azienda è ripartita anche consolidando una relazione con Banca Etica
Lanificio Leo ora è specializzato essenzialmente nella parte finale della lavorazione, dove la creatività impatta di più, sfruttando le relazioni con designer di fama attraverso il meccanismo della “residenza d’artista”. Produce soprattutto plaid e sciarpe, con diverse tecnologie di intreccio della maglieria. Lo fa puntando sul progetto, come strada maestra e sostenibile per superare i limiti di produzione e l’impossibilità di competere su volumi e velocità. «E ogni progetto ha alla base un incontro che non è solo artistico, ma è anche un incontro di umanità».
Ritorna così ad affacciarsi quell’idea d’impresa consapevole delle prime parole di Leo. Il quale ricorda la necessità di stimolare e rafforzare un mercato locale che possa sostenere esperienze come quella del Lanificio Leo. E non solo perché l’impresa non sia costretta a inventare meccanismi complessi per portare il prodotto oltreoceano, ma perché possa occupare qualcun altro. Perché «in una regione come la Calabria l’unica vera politica antimafia è il lavoro. È la dignità del lavoro. L’offerta di una chance tale che le persone possano decidere liberamente se voler restare e costruire il proprio percorso di vita dove sono nati oppure andarsene. Ma deve essere una scelta libera».
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