Dimensione del testo
ALTO CONTRASTO (CHIARO)
ALTO CONTRASTO (SCURO)
FONT ACCESSIBILI

Storie ad impatto positivo

Cosa finanziano i tuoi soldi

Il Tappeto di Iqbal: tessendo futuri di speranza contro lo sfruttamento infantile

Il Tappeto di Iqbal: tessendo futuri di speranza contro lo sfruttamento infantile

Il Tappeto di Iqbal: tessendo futuri di speranza contro lo sfruttamento infantile

Nel 1983, a Muridke, in Pakistan, nacque Iqbal Masih, bambino divenuto simbolo dello sfruttamento infantile. Già a quattro anni era impiegato in una fornace; a cinque, per ripagare un debito, il padre lo vendette a un produttore di tappeti. Per molto tempo Iqbal trascorse in quella fabbrica tra le 10 e le 12 ore al giorno, incatenato al telaio, malnutrito. 

Fino al 1992, quando insieme ad altri bambini si allontanò per partecipare di nascosto a una manifestazione del Fronte di liberazione del lavoro. Da quel momento la sua vita cambiò: rifiutò il lavoro in fabbrica, divenne volto pubblico della denuncia dello sfruttamento minorile e viaggiò molto, prima in Pakistan e poi in Europa, facendosi testimone della battaglia. 

Nel 1995, quando aveva appena 12 anni, morì in circostanze poco chiare, probabilmente legate – anche se non è mai stato accertato – alle sue attività. 

Il tappeto di Iqbal

A Iqbal è intitolata la cooperativa Il tappeto di Iqbal, che opera nella zona orientale di Napoli, in particolare nel quartiere Barra, dal 1999. “Abbiamo deciso di intitolarla a lui perché da subito ci siamo occupati di lotta allo sfruttamento minorile e alla criminalità organizzata”, racconta Giovanni Savino, presidente della cooperativa. 

Il Tappeto di Iqbal lavora con minori del territorio, “Anche se molti – spiega Giovanni – in questi anni sono cresciuti con noi, sono diventati grandi”. Con un approccio di educazione e coinvolgimento non formale, che va dalle attività circensi a quelle sportive, ogni anno interviene su circa 300 giovani a rischio di esclusione sociale e dispersione scolastica, riportandoli tra i banchi, supportandoli nel loro percorso formativo. 

“Abbiamo sempre usato un approccio non formale per aggregare i ragazzi: la pedagogia circense, il circo, la danza aerea. Negli ultimi anni abbiamo insistito molto sulle attività sportive, in particolare con il basket”. 

L’idea è stata efficace soprattutto perché si è rivelata uno strumento per far viaggiare, in maniera completamente gratuita, ragazzi che difficilmente lo avrebbero fatto. “Con l’arte, con il circo, abbiamo fatto spettacoli in Italia, in giro per l’Europa. Il basket ci ha dato l’occasione, dopo il Covid, di far tornare a viaggiare i ragazzi: siamo stati in Veneto, in Abruzzo, a Roma”. 

Con i più grandi, racconta Giovanni, era più facile. Per poter coinvolgere i più piccoli, invece, hanno scelto di iscriversi al campionato CSI di basket regionale: “Alla nostra prima esperienza, siamo secondi in classifica. Abbiamo vinto con tutte le squadre eccetto con la prima”, riporta. 

Ma il punto non sono (soltanto) i meriti sportivi: “Abbiamo creato un vivaio di circa 30 ragazzi tra gli 11 e i 16 anni, abbiamo due squadre. Siamo stati in Svizzera a giocare a Basilea, in Inghilterra, a Bruxelles, dove siamo stati premiati come miglior progetto italiano di cittadinanza critica dalla Commissione Europea. Presto saremo in Austria per il mondiale di basket giovanile, forse anche in Portogallo. La cosa più importante – sottolinea – è che grazie a questo i ragazzi sono con noi, a studiare o in palestra ad allenarsi, fino alle 21, alle 22: non stanno più in strada”. 

L’amore per il basket è inteso come impegno nel proprio percorso formativo. “Quando stanno con noi – racconta Giovanni – li teniamo d’occhio: sappiamo se frequentano la scuola, se hanno bisogno di una mano nei compiti, se hanno problemi sociali o familiari. Con il basket li agganciamo – contina –  ma poi attraverso quello riusciamo a lavorare su tutta la comunità”. 

“Togliere le perle ai porci”

“Quindici anni fa – racconta – lavoravamo con i figli dei camorristi. Mi piace dire che toglievamo le perle ai porci. Per alcuni anni questo ci ha messo in una situazione un po’ ghettizzante: le famiglie oneste del quartiere impedivano ai figli di partecipare alle nostre attività, ma abbiamo lavorato a lungo per far incontrare le diverse anime”. 

Adesso, prosegue, l’utenza è variegata: “Ci sono sicuramente ragazzi che vengono da contesti criminosi. Spesso sono le stesse famiglie a spingerli a frequentarci, a fare un percorso diverso. Ma ci sono anche ragazzi di famiglie per bene, che si fanno in quattro per arrivare a fine mese e che vogliono tenere i figli al sicuro, mandandoli da noi”. 

La cosa più importante, riporta il presidente, è che tutti si sentano al sicuro perché nei locali della cooperativa, come recita il cartello affisso in bella vista “Sei in uno spazio sicuro. Non ci sono distinzioni di razza, religione, orientamento sessuale”. 

Un approccio che in tutti questi anni ha fatto sentire al sicuro più di 1.500 ragazzi

“Il nostro contesto di intervento è il quartiere con la più alta percentuale di giovani di Napoli. Di 45 mila persone, gli under 18 sono quasi 8.000. Sarebbe impossibile dire che, da soli, possiamo risollevarne le sorti. Quello che possiamo dire – spiega Giovanni – è che i ragazzi, così come le famiglie, con cui lavoriamo, assumono un diverso approccio, acquistano senso critico. Anno dopo anno li vedi crescere. Siamo partiti che nessuno di loro aveva nemmeno i documenti. Senza la carta d’identità, però, non si viaggia: e quindi adesso tutti hanno la carta d’identità. Così come la patente. E l’assicurazione al motorino. Il percorso è graduale, ma è un percorso di crescita reale che coinvolge, per forza di cose, anche il contesto familiare”. La cosa più importante, spiega, è che tutti imparino che “I diritti sono diritti. Non sono promesse elettorali. Non sono concessioni di qualcuno che è più forte di te”. Questo tipo di approccio è generatore di comunità e, come spiega Giovanni, sono diversi i momenti di confronto in cui tutti si esprimono e “Conta l’opinione di tutti, dal bambino di 7 anni alla casalinga di 60: ci si confronta insieme sui problemi, si trovano insieme le soluzioni”. Come quando, racconta, la notte del 31 ottobre e nelle giornate di 1 e 2 novembre del 2021 operatori, adolescenti e famiglie si sono dedicati a riqualificare l’Istituto Comprensivo 68° Rodinò di Barra, i cui locali erano da diversi anni inibiti, costringendo gli studenti a fare i doppi turni presso un altro istituto. “Il 17 novembre – racconta – i bambini sono potuti tornare nella loro scuola”. 

Il Tappeto di Iqbal è uno dei 25 Punti Luce di Save the Children Italia: dal 2005 un importante nucleo delle attività della cooperativa è finanziato dalla ONG. Ogni giorno qui ci sono diverse sessioni di aiuto compiti e accompagnamento allo studio segmentate per fasce d’età. A fare da attrattore, come già spiegato, le attività artistiche e sportive: circo, teatro, musica, parkour, basket e danza aerea. “Ultimamente ci stiamo concentrando ad attrarre anche le ragazze”, spiega, “in quartieri come il nostro è sempre difficile”. 

Ci sono poi i laboratori, come quello sul fumetto, da cui è nato un fumetto che attualizza il Canto di Natale dickensiano, trasformando Scrooge in una donna camorrista. Presto, anticipa, potrebbero arrivare un fumetto sul basket, sempre realizzato da adolescenti, e un cortometraggio. Tutte le attività laboratoriali sono svolte con l’ausilio di professionisti, lo scopo è mostrare ai più giovani che essere formati può anche essere divertente, stimolante. 

“Abbiamo cominciato con un gruppo di ragazzi in cui il tasso di dispersione scolastica dell’80%”, ha raccontato; “Adesso non ti direi che abbiamo risolto i problemi di Barra, però abbiamo triplicato la nostra utenza e, dei ragazzi che ci frequentano, il 90% va a scuola, prosegue il suo percorso di studi”. Il fatto che possano viaggiare, vedere il mondo fuori dal rione, è un elemento essenziale: “Se devo studiare, si dicono, almeno lo faccio per qualcosa di bello”. 

Relazione con Banca Etica

Il rapporto con Banca Etica, racconta Giovanni, è davvero ottimo. Se nel corso della pandemia era stato un finanziamento a fondo perduto a garantire la possibilità alla cooperativa di avere una sede, successivamente rivenduta, la relazione con l’istituto ha consentito, tramite un fido, di anticipare le spese per il progetto Cassius, finanziato dal Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale all’interno del bando Fermenti 2019. Il progetto ha previsto la creazione di uno spazio di apprendimento, formazione e crescita destinato ai minori tra i 14 e i 18 anni.

“In questo modo – racconta – abbiamo potuto pagare gli operatori, elemento per noi fondamentale. Noi spendiamo soldi unicamente per i viaggi dei ragazzi e per le risorse umane. Tutte le persone coinvolte devono veder garantiti i propri diritti, lavorare con regolare contratto ed essere pagate per tempo, anche se spesso gli enti finanziatori non mettono nelle condizioni di farlo”. 

L’affinità con Banca Etica è confermata anche da Gabriella Perrone, che definisce Il Tappeto di Iqbal “il tipico cliente di senso che frequenta la nostra filiale”. Secondo Perrone la cooperativa è “un punto di riferimento per situazioni difficili che nel quotidiano intercettiamo ed indirizziamo con fiducia ad esperti che da anni si impegnano e riescono nonostante tutte le difficoltà del territorio”. “La gestione dei rapporti – ha continuato – è attenta e corretta. La  fiducia è forte da entrambi i lati e porta a volte a superare le tensioni di liquidità tipiche nella gestione di progetti con EEPP. Si tratta senza dubbio di un significativo presidio di legalità in un quartiere periferico di Napoli. Ci rende molto orgogliosi”.