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IL RUOLO DELLA FINANZA NEL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ’ ORGANIZZATA

di Marco Piccolo

L’ultima ricerca di Transcrime, il Centro universitario di ricerca di criminologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, analizza e conferma la crescente capacità delle mafie di influenzare l’economia legale, attraversata da un costante flusso di riciclaggio dei proventi illeciti, grazie al quale le organizzazioni criminali mettono al sicuro i ricavi delle attività criminose e rafforzano il proprio prestigio sociale e la capacità di controllo del territorio.

Solitamente le mafie, per inserirsi nell’economia legale, utilizzano imprese legali caratterizzate però da alcuni indicatori delle loro attività che possono manifestare possibili forme di controllo indebito: dalla minor presenza di asset liquidi (essendo i conti bancari confiscabili si preferisce gestire parte della liquidità “fuori registro”) al più alto livello di debiti tributari.

La strategia da loro seguita non si limita al controllo di una singola azienda ma alla creazione di una filiera di aziende, attive in diversi settori e con funzioni complementari, è infatti grazie ai rapporti tra queste che i capitali vengono “lavati” e legalizzati (attraverso – ad esempio – false fatture).

Anche se permane una certa disomogeneità delle legislazioni tra i Paesi europei, la lotta al riciclaggio ha beneficiato dei passi in avanti compiuti dalla legislazione UE (recepita anche dall’Italia che comunque ha sempre avuto una normativa abbastanza avanzata), grazie alla quale i soggetti professionali e finanziari (incluse le banche) che operano nei Paesi membri, sono stati investiti di obblighi di “adeguata verifica della clientela”  e di segnalazione di operazioni sospette alle autorità competenti, tra cui l’italiana Unità di Informazione Finanziaria (UIF).

Nel 2018, in Italia sono state registrate 98.030 segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, con un incremento del  4,5% rispetto al 2017; solo nell’ultimo semestre, le segnalazioni hanno interessato operazioni per un valore di 45 miliardi di euro, confermando l’incremento di quelle di sospetto riciclaggio ma rilevando anche la crescita complessiva nel 2018 delle segnalazioni di sospetto finanziamento del terrorismo (oltre 1.000), peraltro particolarmente difficili da tracciare, interessando numerosi comparti economici (dal credito al consumo, al commercio di opere d’arte, al non-profit) e richiedendo grande attenzione da parte di tutti gli operatori obbligati a vigilare, inclusi i money transfer.

A complicare il quadro la mancanza di trasparenza e di informazioni sulle operazioni finanziarie con i Paesi a Fiscalità Privilegiata e non cooperativi.

Le analisi istituzionali (Commissione Parlamentare Antimafia, 2018) rilevano l’interesse delle organizzazioni criminali per i settori più vari: dalla distribuzione commerciale, ai rifiuti, dalle energie rinnovabili al turismo; dai giochi, ai servizi sociali, all’accoglienza dei migranti, senza trascurare l’interesse per gli investimenti finanziari nei quali, peraltro, un ruolo molto rilevante sembra essere svolto dai “colletti bianchi”.

In questo quadro il Veneto risulta la quarta regione italiana per segnalazioni sospette all’UIF (8.254 nel 2018, contro le 8.181 del 2017).

A spiegare in parte questo risultato va riconosciuto che il Nord Est per le sue condizioni geografiche (al centro di importanti vie di comunicazione e infrastrutture), economiche (PMI e ricchezza diffusa) e creditizie (forte presenza anche di piccole banche) è sicuramente appetibile per le organizzazioni criminali che vogliono infiltrarsi nell’economia legale.

A questo bisogna aggiungere come solo negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza della presenza di organizzazioni come la camorra e l’ndrangheta, anche se è dagli anni ‘90 che il Veneto è ritenuto una meta interessante per il nascondiglio dei latitanti e per il riciclaggio.

Il rischio di un crescente degrado del contesto economico- finanziario del nord est, con pesanti ripercussioni sul mondo del lavoro, sui rapporti fiduciari cittadini/istituzioni/imprese/banche, è sempre più reale, ma per affrontarlo seriamente è importante riconoscere, prima di tutto, come le infiltrazioni della criminalità organizzata siano state facilitate da un’opinione pubblica che ha via via abbassato il proprio livello di guardia sulla legalità, sul rispetto delle regole, sul bene comune.

Si è così sviluppata una sub-cultura socio economica che ha di fatto tollerato la crescita della corruzione, dell’evasione fiscale, di attività economiche discutibili e  dell’arricchimento senza “lacci e lacciuoli”.

E’ evidente allora che la cura per questa malattia non può consistere solo nel rafforzamento dei presidi antiriciclaggio, ma deve puntare ad una vera rigenerazione, anche culturale, dei territori, a partire da un rinnovato patto tra la società civile, le istituzioni pubbliche e private, le imprese profit e non profit.

Un aiuto e una indicazione di percorso ci vengono dai criteri che caratterizzano le realtà della finanza etica: dalla promozione di una cultura di trasparenza e responsabilità (pubblicazione affidamenti a persone giuridiche, rifiuto di aderire agli scudi fiscali e alla voluntary disclosure, lotta ai paradisi fiscali, promozione della trasparenza e della giustizia fiscale), all’esclusione di alcuni settori dell’economia come il gioco d’azzardo, la produzione di armamenti, le attività rischiose per ambiente.

Queste realtà, grazie al coinvolgimento dei loro soci e clienti nei propri processi decisionali, orientano il risparmio verso quelle iniziative di buona economia che si caratterizzano per la produzione di valore che non è solo economico ma anche sociale ed ambientale; nel valore sociale, del resto, sta anche il tema della legalità, senza la quale difficilmente si potrebbero creare e mantenere le condizioni per uno sviluppo umano ed economico. 

Photo by Sara Kurfeß