Editoriale di Anna Fasano, Presidente di Banca Etica
Non bastano i buoni propositi, non bastano i principi morali radicati, non bastano le iniziative estemporanee nel solco dei migliori valori condivisi. Se siamo d’accordo che per stare coerentemente nel mondo dobbiamo operare perché le comunità e il pianeta si sviluppino in equità e lungo un percorso di crescita sostenibile, sotto il profilo sociale e ambientale, servono scelte di gestione finanziaria conseguenti che rendano credibile l’azione e la rappresentazione delle organizzazioni ispirate e guidate da spiritualità, fedi e confessioni religiose. Ovvero, «È importante tradurre i valori delle nostre organizzazioni in azioni concrete», citando le parole di Francesco Liverini dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. Non credete?
L’approccio diretto e senza troppe sfumature è un’immediata conseguenza del clima di estrema franchezza e sintonia che, come presidente di Banca Etica, ho percepito nell’incontro tenutosi lo scorso 31 maggio all’Università LUMSA di Roma coi rappresentanti di una ventina di realtà religiose e confessionali italiane. Aver potuto scambiare riflessioni inusuali e profonde su temi come la fratellanza, l’economia generativa («Fare del bene genera bene», sottolineava il professor Becchetti), la finanza di pace e l’inclusione finanziaria ha corroborato in me l’evidenza di una contraddizione che qui condivido. La finanza etica è riconosciuta diffusamente come forma di distribuzione della ricchezza che funziona, a svariati livelli, per trasformare in meglio l’economia e la società dove genera i propri impatti, eppure la scelta di affidarsi, del tutto o in parte, alla finanza etica per gestire o investire le risorse economiche non è ancora largamente diffusa proprio tra le organizzazioni che hanno nel loro DNA una consonanza profonda con i principi ispiratori della finanza etica. Una contraddizione peraltro verificata da relazioni note tra importanti soggetti di matrice confessionale, religiosa e spirituale e alcune banche che investono in combustibili fossili e nelle armi – nonché dai numeri dei finanziamenti e degli investimenti loro attribuiti.
Oggi vari enti religiosi appartenenti a diverse confessioni utilizzano, almeno in parte, la finanza etica per la propria gestione finanziaria e i propri investimenti, nella convinzione che orientare la gestione del denaro in modo etico e parallelamente sottrarre risorse agli investimenti più speculativi che danneggiano l’ambiente e i diritti umani sia uno strumento efficace e necessario per dare concretezza alla propria mission valoriale. Ma ancora non vediamo un ingaggio pieno e convinto da parte di altri soggetti il cui ruolo potrebbe essere particolarmente determinante per far crescere la finanza etica, rendendola sempre più capace di soddisfare tutti i bisogni di gestione finanziaria, anche di realtà più complesse e di maggiore dimensione.
Sovvertire il quadro attuale
Sovvertire questo quadro è senz’altro possibile, tuttavia.
Banca Etica opera pienamente nel solco della sostenibilità integrale, cioè un modello che si riconosce nel concetto di ecologia integrale promossa e ribadita dallo stesso Papa Francesco, anche come sprone per una conversione virtuosa del sistema finanziario. La ricerca Azionisti del bene comune, realizzata quest’anno da Aiccon Research Center sui primi 25 anni di Banca Etica, sottolinea che “… il paradigma che può esprimere al meglio l’orizzonte verso il quale Banca Etica si sta muovendo è quello della sostenibilità integrale. È in tale orizzonte, infatti, che si gioca il grande obiettivo trasformativo che Banca Etica si è posta: contribuire a orientare e rendere efficace l’azione di tutte le persone e organizzazioni con cui entra in relazione, a cominciare dagli stakeholder, nel perseguire una maggiore giustizia sociale e ambientale”.
E allora quali ragioni frenano l’affermarsi di un cammino comune?
Una di esse riguarda, io credo, la necessità di abbracciare una visione di futuro diversa, libera dalle scorie del pensiero economico unico di stampo neoliberista. Sempre citando Aiccon sappiamo infatti che il paradigma della sostenibilità integrale “rappresenta il superamento della teoria dello sviluppo sostenibile che, di fatto, non sovverte il primato del sistema capitalistico, offrendo una visione perlopiù compensativa e di mitigazione, rendendo la sostenibilità non una finalità cui orientare il mezzo economico-finanziario, ma lo strumento finalizzato alla perpetuazione del modello esistente”. Bisogna perciò, tutte e tutti, abbandonare una prospettiva che lega in misura pressoché imprescindibile l’impiego finanziario al massimo profitto, depurando questo impianto con l’introduzione di un maggior peso dell’impatto sociale e ambientale, anche indiretto, e di un “capitalismo paziente”. Sono profondamente convinta, peraltro, che tale processo di trasformazione, che la finanza etica incarna dalle fondamenta, sia già in atto. E semmai bisogna impegnarsi ogni giorno perché Banca Etica sia pronta ad accompagnarlo pienamente, proseguendo l’attuale percorso di costante consolidamento e diversificazione della struttura e dei servizi, testimoniato dai numeri ogni anno crescenti nel primo quarto di secolo della nostra storia. Ed è questo sforzo di crescita continua che desideriamo condividere con le organizzazioni per le quali sappiamo di poter essere dei partner complementari, a cominciare dalle grandi realtà religiose del nostro Paese, che operano in direzione affine alla finanza etica e a cui chiediamo di investire nel progresso comune.
La finanza etica veicolo di un messaggio preciso
In conclusione resta così solo una domanda da porre, la più semplice. Perché la scelta del conto corrente e della banca dove movimentare le risorse economiche e finanziarie dei grandi soggetti confessionali non può – o addirittura non deve – costituire essa stessa un asset tramite il quale esprimere la coerenza spirituale e religiosa con cui operiamo nella società? Perché non trasformare le azioni d’investimento, la piattaforma e gli strumenti di gestione finanziaria quotidiana in una sorta di asset-manifesto della propria origine e missione? La buona finanza, infatti, la finanza etica, è contemporaneamente supporto operativo, portatrice di fini ideali e mezzo efficace della loro propagazione, facilitando la tessitura di relazioni con organizzazioni consimili e con una platea di individui che, ogni giorno di più, è alla consapevole ricerca di realtà in sintonia con le proprie scelte valoriali e di fede. Noi, citando il Cardinal Mauro Gambetti, Vicario generale del Santo Padre per la Città del Vaticano, noi «…abbiamo il compito di recuperare il senso profondo del significato di credito, di banca a servizio delle persone, altrimenti contribuiamo a distruggere valore anziché generarlo».
Nella foto in copertina di questo articolo: Cardinale Mauro Gambetti, Vicario generale del Santo Padre per la Città del Vaticano, con Anna Fasano, presidente di Banca Etica – Roma, 31-5-2024 – credit to Sisifo Società Benefit.