In collaborazione con Corrado Fontana, giornalista di Valori.it
«Ci piace poter preservare un patrimonio spesso sconosciuto, e che tuttavia, all’interno di un percorso museale oppure di una mostra, aggiunge un elemento significante che forse andrebbe maggiormente spiegato. Ed è parte della nostra cultura nazionale come può esserlo una scultura». Così si esprime Stellina Cherubini, una delle quattro socie (a cui si aggiunge una collaboratrice fissa di lunga data) di Restauro Tessile, laboratorio d’eccellenza che opera da Albinea (RE) con istituti museali, enti ecclesiastici, committenze private per riportare all’originario splendore arazzi, arredi, tappezzerie, gonfaloni, abiti principeschi… Un laboratorio che impreziosisce con la propria attività trentennale un tessuto – è davvero il caso di dirlo – di saperi e aziende artigianali italiane di cui tutti dovremmo aver cura.
Come fece Banca Etica intorno al 2015, quando le fondatrici di Restauro Tessile dovettero operare un riassetto societario per garantire sostenibilità all’impresa, e trovarono nell’istituto «un interlocutore capace di comprendere la difficoltà e, tramite la concessione di un finanziamento, di offrire la possibilità di liquidare noi – che allora eravamo dipendenti – e avviarci alla forma societaria attuale. Il rapporto è quindi nato in un momento di reale crisi dell’azienda e poi è continuato nel tempo (Ivana Micheletti partecipa attivamente alle riunioni della banca sul territorio) con una condivisione di valori etici, di solidarietà e di attenzione per le realtà locali che si è stabilita, e magari con altre banche si fa più fatica a incontrare. Anche recentemente Banca Etica ci ha supportato per ottenere i famosi contributi per la crisi da Covid-19. Tutte le committenze pubbliche e molte delle attività sono infatti riprese solo a fine giugno, dopo due mesi di stallo totale. Noi, del resto, operiamo su beni che non sono considerati di prima necessità, e ciò si somma al fatto che i lavori svolti con le pubbliche amministrazioni (che coprono circa il 60% del nostro fatturato) subiscono tempi di pagamento lunghissimi».
L’impresa ha subito, perciò, gli impatti della pandemia da coronavirus, e tuttavia l’operato di queste professioniste mostra quotidianamente l’estrema unicità e il valore di una tale realtà imprenditoriale. Basti pensare che nel panorama generale del restauro italiano il comparto tessile è già un settore minoritario, ma è ancora più raro che ad affermarsi sia un laboratorio così ben strutturato invece della consueta ditta individuale. «Sono molti anni che lavoriamo con una grande specificità che riteniamo non debba essere perduta. E lo stimolo del lavoro di squadra, con un confronto continuo, da un lato aiuta ad aumentare la professionalità individuale dall’altro permette di intrecciare le competenze, poiché ciascuna di noi ha acquisito specializzazioni particolari e fondamentali in ogni lavoro che siamo chiamate a svolgere. Tale assetto consente peraltro di assumere incarichi che singolarmente non potremmo compiere, trattando oggetti unici e restauri di grande responsabilità, che insieme vengono affrontati con entusiasmo», conclude Cherubini.
E mentre il pubblico e gli studiosi tornano a godere di pezzi unici di storia e arte, risultato delle commesse di prestigio nazionale e internazionale realizzate da Restauro Tessile (l’arazzo del corteo nuziale nel collegio Alberoni di Piacenza, l’abito di corte di Maria Luigia di Parma, le tappezzerie storiche di Palazzo D’Arco a Mantova, i paramenti di Papa Benedetto XI…), non va dimenticata la complessità di questi restauri. Per giungere al traguardo di progetti i cui primi ingredienti restano pazienza e precisione, bisogna passare per un’analisi diagnostica preliminare del materiale, per un esame merceologico dei filati e, al microscopio, dei depositi e dello stato di degrado, con test di tenuta dei coloranti alle varie tecniche di pulitura… Spesso è necessaria la collaborazione con laboratori esterni e artigiani con diverse specializzazioni se gli oggetti da restaurare sono polimaterici. E senza tutto questo know-how e queste piccole e piccolissime realtà imprenditoriali artigianali, il Paese col più ricco patrimonio artistico al mondo sarebbe certamente un po’ più povero.
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