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Ballafon, l’accoglienza che va ben oltre le norme

Ballafon, l’accoglienza che va ben oltre le norme

Ballafon, l’accoglienza che va ben oltre le norme

A Varese, dal 2006, opera Ballafon, una società cooperativa impegnata nell’accoglienza, che fa dell’integrazione uno dei suoi obiettivi principali. “Le azioni messe in campo da Ballafon”, racconta Seyodu Konate, il presidente della cooperativa, “Vanno ben oltre quanto richiesto dalle convenzioni istituzionali. L’interesse principale è creare percorsi di accoglienza e inclusione realmente efficaci, a prescindere dalla burocrazia”.

Originario della Costa d’Avorio, Konate ha sperimentato in prima persona la migrazione e sa bene cosa vuol dire costruire percorsi che servano alle persone per sentirsi parte di una comunità. Non si tratta, spiega, di ospitare. “Non siamo un bed and breakfast per i migranti: noi vogliamo che entrino nel tessuto sociale”. Arrivato nel 1991, ha vissuto una prima fase complicata proprio per la mancanza di un’accoglienza organizzata. “Per questo ho deciso di mettermi al servizio dei più deboli, in particolare dei migranti. All’inizio li supportavo dal punto di vista amministrativo: relazioni con le questure, con le prefetture, rinnovo del permesso di soggiorno, ricongiungimento familiare e quanto altro fosse necessario dal punto di vista burocratico”.

L’accoglienza diffusa

Presto Konate, e il gruppo di persone con cui collabora, si resero conto che c’era bisogno di un lavoro più ampio, strutturato, a partire dall’accoglienza. Nel frattempo Ballafon è cresciuta: ci sono circa 50 dipendenti di cui quasi la metà (il 47% italiani). In questi quasi vent’anni di attività la cooperativa ha assistito almeno 4mila persone provenienti da una ventina di nazioni.

“Adesso abbiamo in carico circa 600 richiedenti asilo che vivono nei 74 diversi centri distribuiti in tutta la provincia di Varese, e una cinquantina di minori non accompagnati in due strutture dedicate”. Perché Ballafon, racconta il suo fondatore, pratica l’accoglienza diffusa. Non ha senso ghettizzare chi arriva qui in contesti geografici e metropolitani specifici, e poi sperare che ci siano integrazione e inclusione.

 La divisione nelle strutture avviene con particolare attenzione a tutti gli aspetti che consentano una convivenza pacifica. “Stiamo attenti a mettere insieme persone che parlano la stessa lingua, che praticano la stessa religione, che hanno abitudini alimentari simili”. Nelle strutture Ballafon le persone accolte ricevono mensilmente carichi di derrate alimentari a lunga scadenza e ogni 10 giorni circa derrate fresche come frutta, verdura e provvedono da sole al proprio vitto.

All’arrivo in Lombardia, il centro di raccolta di tutte le persone migranti è il centro polivalente della Croce Rossa di Bresso, racconta Konate. Da lì c’è l’assegnazione alle prefetture territoriali di competenza e quindi ad ogni realtà a seconda delle disponibilità nelle strutture di accoglienza. Le persone assegnate a Ballafon, continua il presidente, una volta arrivate presso la nostra accoglienza, fanno una visita medica d’ingresso, ricevono il kit del vestiario e degli effetti letterecci e, successivamente, vengono accompagnate nelle strutture di riferimento.

Ben oltre gli obblighi burocratici

Qui inizia il reale percorso di integrazione, che è il valore aggiunto di Ballafon rispetto alle strutture di accoglienza tradizionali. “Abbiamo operatori sociali e mediatori che quotidianamente vanno nelle strutture come educatori civici”, spiega Konate. “Controllano le condizioni igieniche, se la raccolta differenziata è fatta bene e ogni aspetto del funzionamento del centro. Raccolgono i bisogni delle persone accolte, verificano il loro stato di salute. Facciamo incontri di formazione su questioni legali: come fare richiesta di asilo, quali diritti hanno in questo paese, quali i doveri eccetera e anche incontri per favorire l’inclusione territoriale”. Anche sui doveri Konate è categorico. Quando le persone entrano in una struttura ne firmano il regolamento e sono tenute a rispettarlo.

“Dove possibile – continua – cerchiamo di attivare convenzioni con associazioni locali perché i ragazzi possano fare volontariato”. Sono tanti gli esempi di collaborazioni con enti istituzionali o del terzo settore. C’è la cura degli spazi pubblici e del verde cimiteriale a ridosso delle festività del 2 novembre; c’è la collaborazione con gli Alpini, che vede un gruppo di volontari impegnati nella logistica, nel montaggio e nello smontaggio per la tradizionale festa di Ferragosto al Campo dei Fiori; c’è la collaborazione con il Tribunale di Varese, che ha visto un gruppo di volontari tra le persone alfabetizzate aiutare a riordinare gli archivi del tribunale. Un’esperienza che ha avuto tanto successo che, a breve, sarà replicata.

 “Questa parte – spiega Konate – per noi è fondamentale. Io stesso sono stato un volontario della Protezione Civile. Renderci utili alla cittadinanza è anche un modo per restituire quanto riceviamo. Certo, si tratta di volontariato e nessuno ha l’obbligo di farlo. Ma in tanti – conclude – partecipano con entusiasmo”.

L’importanza della formazione

L’alfabetizzazione e la formazione professionale sono due cardini essenziali del percorso di inclusione. “La convenzione con la Prefettura non prevede più l’alfabetizzazione, ma per noi è irrinunciabile, è un aspetto senza il quale non ci può essere integrazione”. Così, nella sede di Ballafon e presso il centro di Castelveccana ci sono aule in cui quotidianamente vengono effettuati corsi destinati agli ospiti. Oltre a questo, il percorso prevede l’iscrizione al Centro Provinciale di Istruzione per Adulti (CPIA) di Varese, dove però le lezioni si fanno solo due o tre volte a settimana. E poi ci sono i corsi di formazione professionale: magazziniere, mulettista, aiuto cuoco, piazzaiolo, panettiere e pasticciere. Anche i corsi tenuti in struttura sono impartiti da insegnanti riconosciuti dal CPIA. “Non basta – riflette Konate – per questo facciamo il resto per conto nostro. Pensiamo che gli ospiti abbiano bisogno di essere istruiti per trovare un lavoro che li inserisca nel tessuto sociale. Il fatto che questo non sia automatico in tutti i percorsi di accoglienza mi lascia perplesso. Se le persone arrivano e non diamo loro la possibilità di andare a scuola e di imparare la lingua, è chiaro che alla lunga questo sarà un problema”.

Recentemente è partita una convenzione con l’università di Abidjan. Il partenariato prevede un percorso di ricerca sul fenomeno della migrazione, con la strutturazione di un osservatorio che studierà e campionerà gli ospiti per fornire loro un orientamento professionale individualizzato. Questo perché chi arriva, racconta, in alcuni casi è analfabeta anche nella propria lingua. Conosce un mestiere, ma non ha strumenti di formazione, bisogna pertanto fornirgli un supporto. Oppure alcuni ospiti arrivano con un “bagaglio” più definito: “Nei nostri appartamenti abbiamo ospitato medici, ingegneri, giornalisti. Persone che abbiamo aiutato perché vedessero riconosciuti i propri titoli di studio o almeno perché venissero indirizzati ai percorsi integrativi per renderli equivalenti”.

Gli altri progetti di Ballafon

Ballafon ha diversi progetti. Uno degli ultimi, appena concluso, si chiama InteGreat e ha coinvolto organizzazioni che fanno accoglienza in cinque stati europei (Grecia, Irlanda, Cipro, Spagna e Italia) e l’Università di Bologna come partner scientifico. L’obiettivo era uno scambio rispetto alle pratiche e ai meccanismi di accoglienza per fare in modo che ogni realtà potesse ispirarsi anche all’operato delle altre. C’è stato poi Move for All, un progetto europeo che nella sua conclusione ha visto una maratona di 5 chilometri nel territorio di Varese: “Un momento molto bello – racconta il presidente – perché hanno partecipato italiani, stranieri, ragazzi, adulti, anziani. Abbiamo attraversato tutto il centro di Varese e c’erano striscioni di Ballafon in giro: è stato bello avere questo tipo di visibilità nella nostra città”.  

Nel 2019 c’è stato anche un torneo di calcio con 12 squadre tra le quali una era costituita dai dipendenti del Comune di Varese. “Mi colpì molto vederlo: all’epoca il Ministro degli Interni era Matteo Salvini e non c’era un bel clima. Fu importante invece che loro abbiano giocato insieme ai nostri ragazzi per mesi, condividendo con loro momenti ludici. Ha avuto un grande valore”.

Ballafon Afrique

“Quando fai questo mestiere – riflette Konate – devi farlo con amore. Assisti delle persone, non è detto che siano sempre di umore positivo. Soprattutto perché in molti hanno passato brutti momenti e le loro aspettative non corrispondono a quello che hanno trovato”. Il tema delle aspettative di chi parte è il punto di partenza di un altro pezzo di lavoro della cooperativa: “Ballafon Afrique”. Dal 2017, racconta Konate, è stata costituita una società in Costa d’Avorio con l’obiettivo di mettere i giovani africani nelle condizioni di non dover partire. L’obiettivo è fornire formazione scolastica e professionale, dare strumenti materiali: “Se possiamo fare qualcosa per dare ai giovani la possibilità di non partire, rischiando la propria vita, lo facciamo ben volentieri”. E le attività messe in campo sono più di “qualcosa”.

“Siamo partiti con la creazione di un’officina meccanica in cui si formano e lavorano ragazzi che non hanno la possibilità di accedere ai centri di formazione professionale perché non hanno un livello di istruzione pari a quello della terza media. È un target che proviene quasi sempre da situazioni difficili: sono tutti potenziali candidati alla migrazione clandestina. La sensibilizzazione contro la migrazione clandestina – spiega – è importante tanto quanto il lavoro fatto nell’accoglienza all’arrivo”.

Ballafon è stata impegnata in un progetto di diverse ONG impegnate in Costa d’Avorio, partecipando in sette città italiane a percorsi di sensibilizzazione sulla diaspora ivoriana. “Quando le persone arrivano qui ricevono giustamente supporto e magari chi le guarda dal proprio paese vede solo i lati belli: i vestiti puliti, il centro commerciale, le foto sui social. E a quel punto ti chiedi “ma io cosa ci faccio qui?”. Ti fai un’idea sbagliata, decidi di non sviluppare nulla nel tuo paese e ti dai come obiettivo di andartene. Spesso le persone chiudono le proprie attività, i genitori vendono tutto quel che hanno per far partire i figli. Noi vogliamo mandare un messaggio corretto, spiegare che non è tutto bello, funzionante, efficace. Anche perché i rischi sono molteplici: le persone diventano vittime di tratta, il Mediterraneo porta via migliaia di vite umane, senza considerare il cimitero a cielo aperto che è diventato il deserto…”.  

“Proviamo a invogliarli a restare”, racconta. Il primo progetto è stato l’officina meccanica. Adesso stanno lavorando alla costruzione di un nuovo progetto agricolo che prevede la formazione e la coltivazione diretta di ortaggi su un campo di 24 ettari e mezzo. Speriamo, continua, che il tutto si sblocchi nel 2025: “Abbiamo già comprato la seminatrice, tutti i materiali utili. Siamo bloccati per un problema amministrativo che non vediamo l’ora di risolvere”.

Il rapporto con Banca Etica

Il rapporto con Banca Etica, mi racconta Enrico Finocchiaro, referente Banca Etica del progetto, è nato nel 2021 e al momento la banca sostiene la cooperativa con due mutui legati a investimenti immobiliari: uno di 330mila e uno di 200mila euro. Oltre a questi, c’è una linea di anticipo fatture di 800 mila euro. “Capita – racconta Konate – che i pagamenti per un progetto di accoglienza non sempre arrivino nei tempi previsti da contratto, in passato abbiamo avuto anche ritardi di mesi dopo che le spese sono state effettuate. Banca Etica è uno dei partner con cui riusciamo così a fronteggiare questi ritardi”.

Come spiegato da Finocchiaro, in questi anni le attività di Ballafon sono cresciute e Banca Etica ha scelto di sostenere questa crescita aumentando progressivamente l’ammontare delle linee accordate. Questo non solo per l’evidente affinità di valori, ma anche per la peculiare attenzione ai servizi erogati, che vanno ben oltre gli obblighi normativi. “La collaborazione con Ballafon e il sostegno che offriamo loro come Banca – conclude Finocchiaro – sono per me motivo di orgoglio: la competenza e la qualità con cui svolgono la loro attività, e la rilevanza sul territorio per il numero sempre crescente di migranti accolti e ai quali viene offerta una prospettiva concreta di integrazione, da un lato rappresentano la prova che un’economia e una società diverse sono possibili, e dall’altro alimentano nel quotidiano, come dipendente di Banca Etica, la consapevolezza di lavorare davvero per un mondo migliore

Foto di Ballafon