Banche, società di investimento, assicurazioni e fondi pensione hanno un grande potere nell’indirizzare le economie e nel definire il modello di società in cui viviamo. Il modo in cui gli operatori finanziari gestiscono il denaro affidato loro da risparmiatori e investitori ha impatti immediati sul tessuto produttivo, sull’ambiente, sulla tutela dei diritti e sulla lotta alle diseguaglianze.
E ancora. La regolamentazione della finanza avviene principalmente a livello europeo e sarebbe dunque necessario partecipare attivamente ai tavoli europei che possono contribuire a modellare una politica finanziaria coerente con gli impegni assunti per l’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile, con gli accordi di Parigi contro i cambiamenti climatici e con l’Action Plan dell’UE, che propone una visione olistica e coordinata dell’economia sociale.
Eppure i temi della finanza restano assenti dal dibattito pre-elettorale e assolutamente marginali nei programmi dei partiti.
Sulla scorta di oltre vent’anni di esperienza in cui il movimento della finanza etica italiano e internazionale hanno sviluppato modelli di business e strumenti finanziari (crediti, risparmi, investimenti, polizze assicurative, ecc.) che coniugano la ricerca dell’efficienza e del rendimento economico con la tutela dell’ambiente, il contrasto ai cambiamenti climatici, la promozione dei diritti e la lotta alle diseguaglianze, il Gruppo Banca Etica chiede alla politica di scrollarsi di dosso una certa subalternità nei confronti della finanza mainstream, e di indirizzare l’intero sistema economico tramite misure pensate per uno sviluppo collettivo più sano, equo e sostenibile. Benché negli ultimi anni si sia verificato un importante sforzo normativo, di livello europeo e nazionale, per regolamentare la cosiddetta finanza sostenibile, a oggi l’esito di tale sforzo è un quadro iper-complesso che non fissa paletti precisi, concentrato prevalentemente sugli impatti ambientali e poco su quelli sociali dei prodotti finanziari, trascurando sostanzialmente altre tematiche, come ad esempio il contrasto alla speculazione finanziaria.
Anna Fasano – presidente di Banca Etica
Ecco i temi su cui bisognerebbe agire secondo il Gruppo Banca Etica:
- Finanza per la transizione energetica: per incentivare il credito alle imprese con impatti ambientali e sociali positivi proponiamo di introdurre “green o social supporting factor” che riducano gli assorbimenti patrimoniali sui finanziamenti con orientamento ESG . Auspichiamo inoltre che l’Italia si spenda per chiedere all’Europa di modificare l’infelice decisione con cui ha incluso l’estrazione di gas e l’energia nucleare tra gli investimenti che si possono definire sostenibili.
- Inclusione finanziaria per l’inclusione sociale: con la chiusura di tanti sportelli bancari su tutto il territorio, e in particolare nelle aree fragili e al Sud, aumentano le persone soggette a esclusione finanziaria. Crediamo che le banche cooperative e di territorio siano un presidio importante contro lo spopolamento delle aree fragili e contro le infiltrazioni criminali nei tessuti produttivi e sociali. Eppure la politica da anni spinge per un sistema bancario sempre più concentrato nelle mani di poche grandi società.
- Terzo Settore: il prezioso mondo del non profit e dell’associazionismo per svilupparsi pienamente ha bisogno di nuove regole per la concessione di credito. Le banche che – come Banca Etica – vogliono dare credito alle realtà non profit non devono più essere penalizzate sul piano degli assorbimenti patrimoniali.
- Speculazione finanziaria: come stiamo toccando con mano la speculazione finanziaria impatta enormemente sui prezzi di beni primari come il cibo e l’energia; arricchisce pochi mentre depaupera le risorse per l’economia reale e i diritti primari delle persone. La politica deve e può contrastare la speculazione finanziaria ad esempio studiando forme di tassazione sulle transazioni finanziarie (cd. ”Tobin Tax”) e introducendo limiti e regole sui derivati.
- Paradisi fiscali: auspichiamo un sempre maggiore impegno dell’Italia nei consessi internazionali per il contrasto ai paradisi fiscali. Qualche passo avanti si è fatto con la direttiva UE e con l’accordo Ocse del 2021 che obbligano le multinazionali a dichiarare quante tasse pagano in ciascun paese in cui operano, ma – come rilevato da Oxfam – non è ancora sufficiente.
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