La buona notizia è che in Italia, così come in altri Paesi europei, si sta sviluppando un movimento destinato a cambiare il modo di produrre e consumare l’energia grazie alle comunità energetiche rinnovabili.
La notizia cattiva è che, a distanza di sette mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo 199/21, approvato dal Parlamento italiano in recepimento della direttiva europea 2018/2001 con l’obiettivo di incentivare lo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili, mancano ancora i provvedimenti attuativi necessari per l’effettiva applicazione della norma.
Un ritardo che frena la diffusione di uno strumento utile per combattere la povertà energetica, l’emergenza climatica, per risparmiare in bolletta e per creare nuovi legami di comunità capaci di favorire buone prassi con impatti ambientali e sociali positivi.
Andiamo con ordine. Cos’è una comunità energetica rinnovabile?
Cittadini, autorità locali, attività commerciali, imprese, enti del Terzo Settore o religiosi possono associarsi per produrre, consumare e gestire energia elettrica ricavata da fonti rinnovabili* tramite l’utilizzo comune di uno o più impianti di produzione energetica**.
E sono già una trentina, in Italia, le comunità di questo tipo che quindi consumano l’energia che producono. O meglio: compensano i propri consumi producendo localmente energia pulita e rinnovabile.
L’obiettivo principale delle comunità energetiche è fornire benefici ambientali, economici e sociali a livello di comunità ai suoi membri o al territorio e non quello di realizzare profitti finanziari. L’energia autoprodotta è usata per autoconsumo e per condividerla, mentre l’eccedenza può essere accumulata e venduta.
Al di là dell’effetto immediato di riduzione delle spese per i consumi elettrici, le comunità energetiche attive rappresentano già un’efficace e importante esperienza di transizione energetica stimolata “dal basso”, e costituiscono esempi di democrazia partecipativa che stimolano un cambio di prospettiva che va oltre l’ambito della propria utenza. Le persone che le compongono modificano il loro status diventando prosumers (produttori e consumatori nello stesso tempo), protagonisti dell’economia locale che trasmettono un messaggio forte, chiaro, e potenzialmente coinvolgente, verso altri cittadini responsabili.
Le comunità energetiche godono di contributi economici ventennali (alternativi a contributi pre-esistenti) su ciascun kWh di energia condivisa (restituzione delle componenti tariffarie; tariffa incentivante 110 €/MWh e, se richiesto, ritiro dell’energia immessa in rete). Privati e imprese che partecipano alla costituzione di una comunità energetica realizzando impianti fotovoltaici godono di alcuni benefici fiscali. Gli uni possono infatti detrarre dall’IRPEF, in 10 anni con rate annuali di pari importo, il 50% delle spese sostenute (fino al 31/12/2024) per un massimo importo di 96 mila euro, le imprese possono invece sfruttare il credito d’imposta maggiorato al 6% con un limite massimo dei costi ammissibili pari a 2 milioni di euro.
Ma lo sviluppo delle comunità energetiche stenta a decollare per motivi legislativi.
Lo scorso 14 luglio il professor Leonardo Becchetti – presidente del comitato scientifico di Etica Sgr – ha lanciato una petizione che chiama in causa la politica italiana. Obbiettivi? Innanzitutto la pubblicazione dei decreti attuativi della norma di recepimento della direttiva europea, necessari per sviluppare le comunità energetiche, e la pubblicazione dei bandi riservati ai piccoli Comuni e per i quali è previsto uno stanziamento di 2,2 miliardi di euro di fondi attesi dal PNRR.
Tra i primi 100 aderenti alla petizione anche Fondazione Finanza Etica.
Conoscevi le comunità energetiche rinnovabili? La finanza etica può avere un ruolo importante per supportare queste soluzioni. Banca Etica può mettere a disposizione soluzioni pensate sia per persone fisiche (prestiti personali) che per organizzazioni (anticipi, mutui, prestiti personali di capitalizzazione delle cooperative). La raccolta di capitale di rischio per lo sviluppo di questi progetti può avvenire anche grazie a piattaforme di equity crowdfunding.
Contattaci per sapere di più!.
* eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica, oceanica, idraulica, delle biomasse, dei gas di discarica, dei gas residuati dai processi di depurazione e del biogas
** ad oggi ciascun impianto deve avere una potenza max di 200kW. Con il pieno recepimento della normativa UE si potranno realizzare impianti fino a 1mW.
Nella foto una comunità energetica che si è rivolta a è nostra
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