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IL PARLAMENTO EUROPEO CHIEDE UNA TASSA ANTI-SPECULAZIONE FINANZIARIA PER ALIMENTARE LA RIPRESA DOPO L’EPIDEMIA

Di Andrea Baranes, vice presidente di Banca Etica

In queste settimane le istituzioni dell’Unione Europea stanno discutendo il bilancio 2021-2027, che dovrà tenere conto delle misure già messe in campo e di quelle preventivate per fronteggiare la pandemia dal punto di vista sia sanitario sia economico.
Di fronte a un PIL europeo che potrebbe calare oltre l’8% nel 2020, a maggio la Commissione ha presentato una nuova proposta di bilancio, ora al vaglio di Consiglio e Parlamento europei. Proprio il Parlamento ha recentemente preso posizione e –  in una risoluzione approvata lo scorso 16 settembre – ha chiesto di ripensare le “risorse proprie” dell’UE. Risorse che negli ultimi decenni sono state derivanti in massima parte da dazi doganali e dai contributi dei singoli Stati, ma che oggi potrebbero arrivare da una nuova fiscalità su scala europea.

Parlare di fiscalità europea implica la necessità di muoversi in almeno due direzioni.

La prima è un’armonizzazione tra i Paesi membri. Oggi in materia fiscale, più che di “Unione” si dovrebbe parlare di “competizione” europea, con ogni Stato impegnato in una gara per attrarre capitali e investimenti in concorrenza con gli altri membri. Una gara che spesso passa dalla riduzione della tassazione per le imprese. Non a caso molti dei paradisi fiscali del pianeta si trovano in Europa. Le multinazionali sono le vere vincitrici di questa acerrima concorrenza tra Paesi membri in materia fiscale che crea per le big corp la possibilità di cercare per ogni attività la giurisdizione che garantisce le condizioni migliori.

L’armonizzazione fiscale non è l’unico tema: oggi sarebbe auspicabile ragionare di vere e proprie tasse europee.

Finalmente una tassa europea sulle transazioni finanziarie?

Una di queste potrebbe essere la tassa sulle transazioni finanziarie (o TTF) che il movimento della finanza raccomanda da tempo. Un’imposta pensata per non interferire con il normale funzionamento dei mercati finanziari ma estremamente efficace contro la speculazione e le operazioni di brevissimo termine che generano instabilità e continue crisi. Da anni una decina di Paesi europei sta discutendo della sua introduzione. Secondo le stime della Commissione Europea, una TTF applicata anche solo in questi dieci Paesi potrebbe generare un gettito di oltre 80 miliardi di euro l’anno. La stessa Commissione ha pubblicato già nel 2016 un’ottima bozza di Direttiva, il Parlamento europeo ha votato in plenaria a favore della sua introduzione, eppure tale misura non vede ancora la luce, incastrata in dibattiti infiniti tra i singoli Paesi.
Ora il Parlamento europeo torna a chiedere una tassa europea sulle transazioni finanziarie, assieme a diverse altre misure in materia di tassazione, per dare la possibilità all’UE di trovare le risorse necessarie a finanziare la ripresa economica dopo la crisi legata alla pandemia. Diversi deputati europei hanno sottolineato come tali risorse non possano tradursi unicamente in nuovo debito, andando a pesare sui cittadini europei e soprattutto sulle generazioni future.

Altre possibili fonti di finanziamento del Recovery Plan UE: tassare i giganti del web e il contenuto in carbonio delle importazioni 

Da qui l’elenco contenuto nella risoluzione approvata a metà settembre dal Parlamento, che comprende la TTF e a una base imponibile consolidata per le società (andando appunto verso l’armonizzazione fiscale in UE). Altre proposte del Parlamento riguardano una tassazione dei servizi digitali (per riuscire a tassare i giganti del web), un contributo sui rifiuti da imballaggi di plastica non riciclata e una tassa sul contenuto di carbonio delle importazioni.

Come nel caso della TTF, quest’ultima proposta non è pensata unicamente per generare un gettito, ma soprattutto per contrastare alcuni impatti negativi. Se nel caso della TTF era le speculazione, una tassa sul contenuto di carbonio delle importazioni serve a evitare che mentre in Europa si prendono provvedimenti per diminuire il consumo di fossili e contrastare i cambiamenti climatici, i prodotti importati da Paesi extra-UE continuino a essere prodotti con standard inferiori. Oltre al danno ambientale, si tratta infatti di concorrenza sleale da parte di Paesi terzi, ma anche di un incentivo per le nostre imprese a delocalizzare le produzioni nei territori extra-UE con normative più deboli in materia ambientale.

La risoluzione del 16 settembre è un primo passo, anche se è noto che delle tre istituzioni europee il Parlamento è considerato la più debole. In particolare riguardo al bilancio, è la Commissione a formulare la proposta mentre l’ultima parola spetta al Consiglio, ovvero ai singoli governi dei Paesi dell’UE. Rimane il fatto che si è aperto un importante spazio politico e di dibattito, e che prima della scadenza dell’attuale bilancio (il 31 dicembre 2020) e dell’approvazione di quello 2021-2027, il Parlamento dovrà nuovamente esprimersi. Diversi parlamentari hanno già segnalato come riterrebbero inaccettabile l’assenza di misure che vadano nella direzione descritta. Vedremo nei prossimi mesi se e quanto le istituzioni europee, ma soprattutto i singoli Paesi membri, vorranno dare seguito a questo ambizioso percorso.

 

Photo by Guillaume Périgois