In collaborazione con Corrado Fontana di Valori.it
C’è Funky Tomato che si ribella al caporalato in Basilicata. E realizza ottime salse, sughi e derivati del pomodoro assumendo direttamente migranti da Ghana, Gambia, Burkina Faso… con un contratto regolare. Impiegati come braccianti sui terreni di agricoltori che aderiscono a un network con un disciplinare etico. O la cooperativa sociale Il Melograno che, a partire dalla formazione compiuta negli oliveti e nei vigneti, favorisce la nascita di cooperative locali di comunità, agricole e artigianali, ripopolando di giovani e famiglie, italiani e stranieri, i paesi abbandonati e invecchiati della Campania. C’è l’Erbaio di Lamezia Terme che dal lavoro nell’orto ottiene il recupero di persone in difficoltà, vendendo la produzione all’interno di una rete di gruppi d’acquisto solidale. E ci sono le 9 cooperative di Libera Terra, che coltivano sia l’eccellenza dei frutti, del vino e dell’olio sui beni confiscati alle mafie, sia la cultura della legalità nella società, cominciando da Sicilia, Campania, Puglia e Calabria.
Sono alcuni esempi, concreti e di successo, necessari a comprendere ciò che in Italia è disciplinato dalla legge 141/2015 come agricoltura sociale (ma spesso abbreviata con la sigla AS). Considerata avente finalità d’interesse generale anche dal nuovo Codice del Terzo settore (d.lgs. 117/2017). E sono solo alcune delle oltre 30 realtà di questo tipo che negli ultimi 12 mesi si sono rivolte ai servizi e al sostegno di Banca Etica. Punto di riferimento finanziario e istituzionale per chi, nel nostro Paese, dà corpo al modello definito a partire dalla locuzione inglese social farming, utilizzata per condensare un insieme di condotte finalizzate all’inclusione e alla co-terapia. O meglio, per dirla con le parole del Forum nazionale agricoltura sociale, «pratiche svolte su un territorio da imprese agricole, cooperative sociali e altre organizzazioni che coniugano l’utilizzo delle risorse agricole con le attività sociali, al fine di favorire la generazione di benefici inclusivi, la coesione sociale, la riabilitazione e la cura».
È insomma di un ventaglio ampio di soluzioni cui un rapporto pubblicato nel 2018 dal MIPAAFT ha provato a scattare la fotografia, elaborando centinaia di sondaggi inviati nelle realtà dell’AS italiane. E individuando una moltitudine di cooperative sociali (46%), imprese individuali (19%), società o soggetti del Terzo Settore (12%), enti pubblici (6%) e altre forme cooperative (5%) che partecipano nella costruzione di questo sistema. Il quale si indirizza innanzitutto a persone con disabilità (le più rappresentate, con un 54%), ai disoccupati con disagio socioeconomico (31%). E poi donne vittime di violenza, tossicodipendenti da alcol e droga, anziani over 65, ex detenuti… ma anche studenti impegnati nell’alternanza scuola lavoro e minori (27%). Individui differenti per età, storia personale e problematiche prioritarie, ma tutti bisognosi, a modo proprio, dei “benefici inclusivi” citati poco sopra.
E se chi eroga tali benefici può essere una fattoria didattica, un ente sociosanitario o un agriturismo con servizi ad hoc sul territorio, a tradurre l’inclusione in atto può essere un luogo di protezione per donne maltrattate o minori, il maneggio che esercita la pet-therapy, la riabilitazione psichiatrica coadiuvata dalla cura del verde o un percorso d’inserimento lavorativo che conduce a riconquistare autonomia e dignità personale. Ognuno di questi ambiti e di queste vie è forma dell’agricoltura sociale. Ed espressione dei suoi obbiettivi. Spesso perseguiti in partnership tra diverse organizzazioni. E ancor più di frequente da enti che condividono una visione del mondo orientata verso precisi principi etici e di sostenibilità ambientale, magari realizzati in un’offerta di turismo responsabile e agricoltura biologica.
Ecco quindi, alla fine, emergere più di un elemento di connessione, forte e diretto, tra la mission di Banca Etica e l’anima del modello nostrano di agricoltura sociale. Un legame consolidato in anni di tragitto comune, sostanziato dai patti e dall’impegno economico. Come dimostrano un protocollo d’intesa stretto già nel 2015 col Forum nazionale agricoltura sociale; le delibere approvate da luglio 2018 per mettere a disposizione dell’AS quasi 3,7 milioni di euro; la creazione di un Time Deposit a sostegno delle imprese e cooperative promotrici di agricoltura sociale e l’apertura di un bando reward crowdfunding dedicato.
In copertina: lavoratori durante la raccolta dei pomodori – Funky Tomato, Basilicata.
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